martedì 23 aprile 2013

Estratti dall'opuscolo "fine del genere umano?" Jean-Marc Mandosio


Ormai "interattivi", si invitano gli spettatori a divertisrsi con la loro alienazione.

Il tempo preteso reale non è il tempo, ma la sua assenza, la sua riduzione alla quasi-immediatezza. Quello che viene falsamente definito tempo è tutt'altro che una durata, quel tempo che Kant chiamava "la forma del senso interno, cioè dell'intuizione di noi stessi e del nostro stato interno". Piuttosto è l'esito di questa lotta contro la durata, contro il tempo umano, che è il segno caratteristic
o delle società industriali, dove tutto ciò che richiede, anche se poco tempo, è per definizione una perdita di tempo. Posto che qiest'ultimo è denaro, come tutti sanno, la redditività impone la legge dello stock zero, ritardo zero: nell'alimentazione (fast food), negli spostamenti (viaggi-espressi), nella comunicazione (trasmissione di dati in banda larga) ecc. Come contropartita, il prolungamento della durata del "tempo libero" - cioè gli intervalli consacrati a spendere il denaro che si sarà riusciti a guadagnare lavorando a tutta velocità - sarà consacrato a immergersi, il più a lungo possibile, nella comunicazione in "tempo reale", il che significa non uscire mai dal circolo del condizionamento neotecnologico ( e quindi di mercato, dato che la neotecnologia è, come sottolineavamo all'inizio, un sistema contemporaneamente tecnico ed economico).

La destrutturazione dello spazio comporta quella della soggettività, poichè lo spazio è, come il tempo, una forma a priori della sensibilità: non qualcosa che percepiamo, ma il quadro stesso delle nostre percezioni, l'insieme delle coordinate al cui interno si forma la nostra esperienza sensibile (come diceva Kant, lo spazio è l'unica "condizione soggettiva della sensibilità sotto la quale ci è possibile l'intuizione esterna"). In uno spazio frammentato all'estremo sprovvisto di qualsiasi punto di riferimento e dotato di proprietà paradossali, anche la coscienza diventa frammmentaria e schizofrenica.

Che cosa significa, dunque, ragionare? Non lo si sa molto bene - il che vuol dire che non lo si sa per niente -, e la miglior definizione continua forse forsa a essere quella che ne dava Platone: " Un dialogo dell'anima con se stessa".

...perchè già da molto tempo ci troviamo in "un enorme disordine mondiale" in cui la contraddizione e lo smarrimento sono diventati la norma, senza che ciò significhi per questo la fine del "sistema tecnico". La moltiplicazione delle crisi locali e del caos su vasta scala rafforza, paradossalmente, la coerenza del sistema nel suo insieme, che si nutre dello smarrimento e della contraddizione, dai quali trae nuove forze per estendersi e perfezionarsi, approfondendo sempre di più l'alienazione dell'individuo e la distruzione dell'ambiente circostante.

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